IO E L’ALTRO di Tommaso Cavagnero

Io e l’altro

di Tommaso Cavagnero

 

Da che parte incominciare questa “storia”?

Io proporrei come si fa nel calcio, con la palla al centro: al centro del racconto, il punto di equilibrio tra le parti, il guscio che racchiude i due veri protagonisti, troppo piccolo per entrambi e troppo ospitale per essere abbandonato completamente, ovvero la mia stessa persona.

Pensare che posso passare da uno stato di accondiscendenza e insicurezza ridicolo ad uno stato di sbruffonaggine e narcisismo doppiamente ridicolo…

Ma state a sentire.

 

Quel giorno, come tanti altri, ero uscito senza una destinazione.

Preferivo così, avere appuntamenti o pianificarmi la giornata è una responsabilità troppo grande che non ho voglia di addossarmi nel mio tempo libero, forse per paura di deludere le mie aspettative o mandare a monte i piani con qualche errore o dimenticanza che tanto commetto sempre.

E poi chi mai potrei chiamare? Mia nonna?!

Camminavo. La testa ciondolante, lo sguardo basso, rigorosamente sulle mattonelle dei portici, per evitare di incrociare quello dei passanti.

Che ci volete, è una cosa che mi fa venire i brividi.

Mi portavo dalla periferia cuneese, mia dimora, verso il centro.

Il centro è pieno di vita rispetto al resto di Cuneo, c’è un sacco di gente indaffarata: che fa compere, che cammina veloce parlando al telefono, alcuni se la raccontano poi scoppiano a ridere, poi ci son le coppiette innamorate, quelle che ormai si sopportano e basta, i bambini che giocano a nascondino, i bambini un po’ più grandi che fumano già.

Tutto questo ha sempre il potere di farmi sentire meno solo.

Io osservo intorno a me, guardando dal basso verso l’alto, di soppiatto, camminando sul bordo del marciapiede, mai al centro.

Anche se so di non essere un brutto ragazzo, mi vergogno molto del mio aspetto fisico: non mi piacciono mai i miei capelli, corti o lunghi che siano: se sono lunghi si vedono le stempiature e sembro malato, se sono corti si vedono irrimediabilmente le orecchie a sventola.

Ho sempre troppi brufoli che mi fanno sentire un adolescente anche se non lo sono più.

In più se mi parlano, arrossisco subito o mi metto a balbettare come un bambino.

Faccio anche molta fatica a frequentare ragazze e ragazzi  miei coetanei (e di qualunque altra età in generale), siccome sono troppo buono e remissivo, permetto che la gente si prenda la confidenza che vuole nei miei confronti, senza mai prenderne io, così finisce sempre che chiunque riesce a farmi star male.

Ergo passo gran parte del mio tempo da solo.

Sono abbastanza alto di statura, ma sono molto magro, per di più ho il vizio di camminare con le spalle basse, ingobbito, che non è molto chic in un ragazzo giovane come me.

Indosso sempre vestiti di alcune taglie più grandi, appunto perché mi vergogno del mio fisico un po’ rachitico, ed in questo modo si nota meno la mia camminata sghemba.

La mia sola e unica devastante forza motrice, su cui fare affidamento e continuare a camminare in questa vita, sono io: io l’altro.

 

Quel giorno, come tanti altri, ero uscito senza una destinazione.

Adoravo non avere una destinazione. Mi dava quel senso di libertà e completezza che dovevo assolutamente concedermi nel mio tempo libero.

Poi non avrei avuto alcun bisogno di fare progetti.

In centro si trova sempre qualcuno con cui passare il tempo piacevolmente, e se è ogni volta una persona diversa tanto meglio, meno noioso.

Con la musica nelle orecchie ad alto volume, camminavo muovendo leggermente il capo a ritmo, non troppo da risultare volgare, ma abbastanza da esternare la piacevolezza della musica sul mio Iphone.

Mi piaceva guardarmi continuamente intorno quando passeggiavo, come se ogni cosa, anche la più futile, meritasse tutta la mia attenzione per un istante.

Mi piaceva tanto anche cercare gli sguardi delle ragazze che incrociavo per strada.

Sia chiaro, mai in maniera insistente, né da mettere in soggezione, assolutamente no.

Il contrario, uno sguardo distratto, quasi dato per caso, nel momento esatto in cui esse, anche per caso, guardavano me, cosicché per un secondo rimanesse nell’aria, sospeso, quel desiderio inespresso tra sessi opposti, che tutti a questo mondo conosciamo bene.

Fisicamente sono un bel ragazzo, lo so.

Sono fiero del mio aspetto dalla testa alle scarpe.

Adoro lasciare i capelli un po’ più lunghi, che si vedano i ricci biondo scuro.

Questi ultimi mi attribuiscono un’aria di spensierata innocenza che, in contrasto con le lievi stempiature ai bordi della testa, danno al tutto un tocco di originalità che trovo interessante.

A dire il vero adoro ancora di più portare i capelli rasati a zero, stile militare.

Ho una forma del cranio molto simmetrica e mi donano.

L’unica nota stonata in questo bel quadretto, quella che mi impedisce di godere a pieno delle fortune della vita, ma che sono comunque obbligato a sopportare, è sempre lui: lui l’altro.

 

Spiegati questi piccoli dettagli della mia incongruente personalità, risulterà senz’altro più facile comprendere le  fatiche e i crucci  che sono costretto a fronteggiare in situazioni che, forse, per altre persone sarebbero banali e prive di significato.

Ma questo verrà fuori dalle pagine con calma, come chi ne ha per leggere.